Una visione terrificante


Cinquant'anni fa in questi mesi, al termine del conflitto mondiale, ìa nostra terra presentava ai reduci dai fronte e dalla prigionia, i ai profughi i segni tragici della guerra.
La gioia del ritorno venne nubata dai vuoti lasciati dai Caduti, da coloro che restarono per semore profughi perché falciati dagli stenti e dalla spagnola, e dalla visione desolante e scoraggiane del natio loco chiamato ormai « il cimitero del Trentino ».
« Il cimitero del Trentino è la povera Valsugana, già così prosperosa per la feracità del suolo, la bontà del clima, la ricchezza del suo carbone bianco e delle acque salutari di Roncegno e di Levico (per non ricordare le minori), e specialmente per la laboriosità e la parsimonia dei suoi abitanti ».
Così scriveva Ottone Brentari in una sua corrispondenza pubblicata sul giornale « La Perseveranza » di Milano il 16 settembre 1919; e soggiungeva: « Ora i paesi di questa valle, specialmente nella parte bassa od orientale, sono ridotti a cumuli di rovine sulle quali gravano tre inverni, e per le quali si fece ancora troppo poco ».




Ed ecco una rapida statistica.


Delle 1151 case del Comune di Levico (comprendente le frazioni di Barco, Campiello, Quaere, Santa Giuliana e Selva) 39 sono distrutte nel capoluogo o a Vetriolo, 34 nelle frazioni e nelle malghe mentre 72 sono inabitabili e tutte le altre depredate dei mobili, vesti biancheria, infissi pavimenti, attrezzi rurali: in una parola di tutto; danni presentano pure gli acquedotti, la conduttura elettrica la fognatura e il patrimonio forestale.
Sono inoltre compleiamente rovinate le quatto uniche fonti di reddito del Comune: le campagne, le malghe, l'esportazione delle acque minerali, l'industria del forestiero.
Scendendo più a valle, Novaledo si presenta con quasi tune le case distrutte; delle 880 abitazioni di Roncolo (comprese quelle della frazione di Marter e dei molti masi sparsi) 300 sono distrutte e molte danneggiate; sui monti circostanti le case distrutte sono circa 600.
Distruzioni spaventose si registrano a Ronchi, mentre delle 84 case di Torcegno 83 sono distrutte senza contare quelle andate in rovina nelle altre frazioni del Comune: 20 ai Campestrini, 7 ai Berti, 2 ai Costi e 9 a Castagne.
Dei 137 edifici di Telve di Sopra ne restano in piedi 3: le due chiese e la scuola; e tutte le case private sono a terra.


A Telve di Sotto delle 255 case del paese se ne salvano 5, a Carzano delle 101 abitazioni 99 sono distratte e le altre due seriamente danneggiate.


Delle 178 case di Olle ber 128 sono completamente rovinate, e le altre - quelle isolate e salve dall'incendio — radicalmente danneggiate.
Al Borgo, delle 490 case, 10 sono completamente distrutte, 160 scoperchiate e tutte le altre seriamente danneggiate e vuotare come ostriche. Altrettanto, si può dire delle case di Sella.
Castelnovo giace abbattuto quasi interamente; a Scurelle delle 176 case ne rimangono in piedi 2 a Spera cento case su cento sono a terra; gravissimi danni presenta Strigno; a Samone 86 delle 109 case sono perdute mentre delle altre (saccheggiate e devastate) non restano che sccatole vuote coperte dal tetto.
Né miglior sorte ha Bieno.
Nel Tesino: Pieve ha 30 case distrutte e molte danneggiate, Cinte 16 case a terra e più di 40 devastare, e Castello 367 case su 537 sono distrutte assieme con le due chiese, mentre le altre 370 sono radicalmente danneggiate e completamente saccheggiate.
Di Villa giace distrutta la maggior parte coi fabbricati; Agnedo invece ha danni minori e anche a Fracena le case distrurte non sono molte; mentre quelle di Ivano sono quasi tutte massacrate.
Ospedaieito, Grigno e Tezze, ormai al margine del grande cimitero, presentano danni minori.
Sfacelo anche nella situazione delle strade, delie campagne e dell'economia: per cui si deve ricominciare tutto da capo.
E difatti si ricominciò.
La ricostruzione non fu facile e neppure sufficientemente sostenuta dalla pubblica autorità.
Tuttavia la grande capacità di ripresa della nostra gente riuscì a ridare alla valle il volto ridente dell'anteguerra, ripristinando case, strade, ponti, acqedotti, economia ecc.
Ancora una volta la volontà di sopravvivere fu più forte del turbine devastatore che in Valsugana — causa la sua posizione geografica di passaggio tra l'Italia e il Nord — di tanto in tanto si fa sentire.
Tuttavia oggi come ieri — osserva il prof. Giovanni Gomer in uno suo studio — il contadino continua a volgere la terra faticata, alzando talora lo sguardo per osservare le nuvole che si addensano e si diradano.
« Posteritati monumentum » sarà il tempio civico che nel 50.o anniversario di questa tragedia viene dedicato nel capolucgo della valle: a doveroso ricordo di pietà per i morti, a costante invito di pace e di concordia alle nuove generazioni.


don Armando Costa

Voci Amiche Apr 1969